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In cammino da Parenzo lungo la costa (2)

2 parte – segue

SECONDO GIORNO

Mi sveglio. In questa prima mattina, di calma totale, mi guardo attorno, ancora un po’ assopito e assaporo il risveglio mattutino del paese e della Natura. Il panorama dall’alto di Orsera, con le sue isole è incantevole, il cielo è sereno verso il mare, ma nella direzione dove devo andare è tutto coperto con un grigio scuro di chiare intenzioni. Mi sa che oggi mi aspetta la pioggia. L’aria fresca è una sveglia lenta. Un po’ alla volta mi riporta all’azione. Il passo diviene deciso e punta dritto alla sala Buffet.

Dal romanticismo alla realtà sono passati dieci metri!

Nella sala c’ è una giovane coppia, lui sta seduto inclinato indietro sulla sedia con le braccia incrociate e parla ben poco. Lei, seduta difronte tutta protesa in avanti, lo guarda con adorazione. Lui si alza per andare via, lei continua ad osservarlo mentre se ne va e rimane in attesa del suo rientro con una dedizione totale. Vicino a loro, un’altra coppia, mentre mangia, rimane in un silenzio disarmante. Più in là una famiglia, bene in armonia, parla, scherza e si organizza. Tutti, alla fine della colazione se ne vanno senza salutare.

Rimango solo io a finire la colazione, sto facendo il pieno per oggi.

Mentre mangio mi chiedo: “Andrea ci sarà?”.

Il ragazzo del passaggio per Rovigno.

Si, eccolo lì nell’atrio con la sua altezza e con il suo modo di essere e non esserci. Mentre andiamo alla macchina, mi parla di Orsera.

Dice, che qui il paese ha perso la sua anima. Nella storia passata, dopo la seconda guerra mondiale tante persone sono andate via e sono arrivati i Dalmati. Poi con la guerra della ex Yugoslavia sono venuti i bosniaci. Adesso con il turismo sono arrivati i turisti. Hanno comprato casa e vengono a vivere solo d’estate, ma ognuno ritirato nella propria vita.

I legami familiari di vicinato, storici di prima, si sono spezzati nel tempo. Così, Orsera ha perso la sua anima originaria e il calore dello scambio tra i vicini. In inverno il silenzio si fa ancora più forte con le case lasciate vuote dai turisti.

Di Andrea, mi colpisce il fatto che quando parla, usa spesso la parola anima, animo.

Prima, in albergo, conversando gli ho chiesto che lavoro facesse. Se ne è uscito con questa frase: “Faccio il custode delle nuvole”.

Sono rimasto sorpreso, non capivo, ma quelle parole messe così assieme, mi sono suonate belle ed originali. Le ho ripetute dentro di me e con meraviglia, più le ripetevo più mi piacevano.

Evocavano immediatamente, qualcosa di magico e di protettivo.

Può sembrare strano accettare come normale una risposta così assurda, eppure detta da lui e con il suo modo, suonava naturale. Con meraviglia, la ho accettata come se avesse un senso nascosto ancora da scoprire.

Partiamo con la sua macchina, direzione Rovigno.

Lungo la strada, mi racconta che ha un cavallo, una cavalla e un asino.

Mi racconta, che vuole sistemare la sua casa per dare ospitalità ai viaggiatori e magari di poter fare lui da guida. Mi dice che ha fatto delle camminate molto lunghe, come il cammino di Santiago, poi in Irlanda, poi nel centro dell’Italia, mettendosi sulle spalle anche 27 chili tra zaino e tenda camminando avanti come un asino.

Ha fatto lo speleologo. E’ stato in Tasmania, in Nuova Zelanda ecc…

Un po’ alla volta viene fuori tutta la sua ricchezza di esperienze di vita e dice: “Oggi hanno detto che hanno pagato 46 milioni di dollari per un diamante. E tutti dicono Oh!? Ma un paesaggio che tu vedi…quello ti entra nell’anima e ti dice qualcosa, ti forma. Ma quella lì… è una pietra. Dopo che l’hai vista un paio di volte, che cosa ti muove dentro?

Diamo valore a cose che non hanno un vero valore.”

Parla a ruota libera, è un gusto ascoltarlo, per quello che dice e come lo dice. Con questo istriano di casa.

“Noi viviamo la vita come se fossimo su un tavolo. C’è chi diventa presidente, chi barbone, chi impiegato. E rimane lì, con quelle informazioni che gli sono state date e con le quali lui vive girando sempre attorno ad esse senza staccarsene e …rimane su quel tavolo. Ma, se si uscisse da queste abitudini quotidiane per provare cose diverse, si scoprirebbe che la vita non è solo quella che si sta vivendo. Uscire da quel tavolo e andare in un posto molto più vario e grande!”

“Quando fai il cammino come quello di Santiago, incontri persone diverse: impiegati, sportivi, scienziati, barboni.. Ho scherzato e parlato con un tipo, e quando siamo arrivati all’aeroporto sono venuti a prenderlo con la limousine. Era un uomo importante. C’è di tutto.

L’uomo è un animale aggregativo, ma tende sempre a rimanere in un gruppo di persone simili. Ma lì, quando cammini, incontri persone così diverse, che ti aprono la vita.

L’uomo è per sua natura nomade, e quando si trova in viaggio, nello spostamento è felice. E’ anche cacciatore e raccoglitore.

Quando fa queste cose, egli si sente felice.

Camminare è una meditazione continua, ti porta a stare con il tuo animo. In compagnia di te stesso.

Noi uccidiamo il bambino che c’è in noi; lo incanaliamo in una vita e non gli permettiamo di scoprire più.

…Come si fa a non essere d’accordo.

Nel nostro parlare gli racconto di Fabrizio e come sarebbe bello se si conoscessero per fare qualcosa assieme. Qualcosa dentro di me, dice di unirli.

Arrivati a Rovigno, invece di salutarmi, mi accompagna per un lungo tratto. Mentre cammino e parlo con lui, ammiro quel panorama che la costa istriana sa darti dietro ogni curva ed insenatura. Le isole impreziosiscono il mare. Le nuvole e i raggi del sole creano dei miscugli di colori con dei riflessi sul mare . L’odore intenso del mare e la brezza mi danno un senso di libertà, mentre il mio sguardo spazia attorno.

Ascolto Andrea con piacere.

“Sai, una volta ho fatto un favore ad un mio amico e lui, poi, mi ha invitato a un corso di manager a Cipro. Quando uno degli istruttori ha chiesto chi sapesse l’inglese, tutti hanno alzato la mano tranne me. Mi hanno guardato in modo sorpreso e altezzoso e mi hanno detto: “Ma tu, che ci fai qui a questo corso, se non sai nemmeno l’inglese”. E io gli ho detto: “Mi godo la vita!” Sai cosa è accaduto dopo? Quando ognuno di noi ha raccontato le esperienze della propria vita, loro mi hanno detto. Ma lo sai, che tu sì sai veramente vivere la vita!

Le persone spendono tanti soldi per comprarsi un auto e lavorano tanto per avere questo. Ma sai quanto tempo lavorano per comprarsi un’auto così costosa?

Ma quanto vale un mese di vacanza? Quanto vale il tempo dedicato a se stessi e quello da dedicare ad altre persone? E’ questo il vero valore.

“Non viviamo più nella magia!”

Il modo con il quale dice queste cose non è scontroso, non è litigioso, ma quasi di meraviglia. Come a dire, ma come si fa a non accorgersi quali sono le cose che arricchiscono e fanno stare bene il nostro animo.

Prosegue nel suo parlare.

“Sai, è un peccato che tu non possa essere qui questo sabato sera.

Faremo una festa nel bosco, con un grande fuoco, e ci saranno delle belle persone.

Ci saranno due ragazze incredibili che ho conosciuto poco tempo fa.

Loro sono delle artiste da strada e vanno in giro per i paesetti con due carovane. Ma carovane vere! Sono trainate da cavalli. Sono due anni che vanno in giro per l’Europa. Una ragazza ha due bambine e l’altra ha due figlie e un figlio. Sono un circo itinerante familiare. Fanno degli spettacoli di musica e teatro per bambini e raccolgono quello che le persone danno loro liberamente per lo spettacolo.

Sai, ancora oggi ho un’immagine bellissima dei loro carri, di un fuoco alla sera e una bambina sul carro che fa i compiti. I bambini non frequentano le scuole, ma fanno tutti gli esercizi di studio. Sapessi che bravi sono e che educati.”

Un cortocircuito!

Come mi racconta questa scena, improvvisamente sento che in qualche modo il mio viaggio mi potrebbe portare lì.

Il mio viaggio destinato a Promontore, si apre improvvisamente ad un’altra possibilità. Assistere ad una recita da parte di questo circo familiare, a questa festa nel bosco con il fuoco e la luna piena. Dentro di me sorrido e penso. Ah, questa è forte. Partire per arrivare a Promontore in solitaria e ritrovarsi invece in mezzo ad un bosco con un teatro di artisti , un fuoco , e la luna piena. Come dice Andrea, staccarsi da quel tavolo al quale si è seduti, alzarsi e andare da… un’altra parte.

Non prendo nessuna decisione, lascio aperte entrambe le possibilità. Adesso sono qui.

Continuiamo a camminare e mi dice: “Sai a volte mi viene da scrivere delle poesie. “Estrae il suo telefonino Nokia di 15 anni, un reperto storico funzionante, e legge :

“ SE FOSSI ,

SOLO PER UN GIORNO

UN ISTANTE

UNA NUVOLA NOMADE NEL CIELO AZZURRO

QUELLA SENSAZIONE DI LIBERTA’ SENZA CONFINI

VIVREI LA LIBERTA’ .

LASSU’ DOVE VOLANO I SOGNI

LA’, SOTTO UN ARCOBALENO

DOVE VA LA FANTASIA DEI BAMBINI

NON MI FERMEREI .

UN VENTO LEGGERO MI PORTAVA PER IL MONDO

DA QUASSU’ ERA TUTTO VICINO

ANCHE LE STELLE BRILLAVANO PIU’ FORTE

E LA LUNA E’ COSI VICINA DA SFIORARLA

PER UN GIORNO

SOLO PER UN GIORNO

VORREI ESSERE LIBERO

COME UNA NUVOLA SENZA CONFINI

LASSU’ NEL GRANDE BLU’. “

 Alla fine, lo guardo e sorridendo gli dico: “Manca la firma”. Lui mi guarda incuriosito e non capisce. “Il Custode delle nuvole” aggiungo.

Un attimo di attenzione, mi guarda, sorride.

Prima di lasciarci mi porta in un posto simbolico. C’è una rosa dei venti di ferro su una grande pietra. Lui dice che questo è il posto della libertà, dove ognuno può prendere diverse direzioni. Bene ! dico, allora questo è il posto dove ci facciamo una foto. Proprio dalla Rosa dei venti le nostre strade si dipartono…E ci separiamo.

 Sono di nuovo con me, ma dopo questo incontro, più ricco di prima.

L’attenzione, ora, viene rivolta maggiormente al panorama, ma le parole di Andrea rimangono ancora dentro di me come una musica di sottofondo.

Sono contento che abbiamo seguito tutto il percorso lungo le varie penisole e insenature senza abbreviarlo per arrivare prima. Ogni penisola ha la sua magia e la varietà nella costa entra nello scenario. Quello che vedo, mi entra nell’animo.

Non è solo una spiaggia o un tratto di mare che si vede normalmente come quando si va in vacanza, ma si vive TUTTA LA COSTA, da angolature diverse.

Lungo il percorso incontro le persone nei campeggi lì vicino, camminano verso Rovigno o semplicemente passeggiano lungo la costa.

Passo attraverso i campeggi.

La Natura così calma influisce sulle persone e le ha rese tranquille, nei gesti e nelle conversazioni.

Nella loro tranquillità, sono in armonia con l’ambiente.

Vi sono molti tedeschi, con la loro organizzazione silenziosa. Chi è seduto davanti alla roulotte, chi va in bicicletta in coppia, mentre i bambini giocano tranquilli. A volte mi colpisce vedere il contrasto nel vedere bambine così graziose nei loro volti, vivaci e sorridenti e dietro a loro, una madre enorme nel fisico, seduta, che non esprime alcuna intenzione di muoversi…

Il mare è un po’ mosso. Il suo leggero sbattere sulla costa dà un ritmo continuo lungo tutto il tragitto. Un suono costante che varia a seconda della forma delle rocce e le spiagge sulle quali le onde vanno a sbattere.

Il vento soffia leggero, contribuendo a dare un movimento, a spostare le grandi nuvoli nel cielo, a impedire la pioggia, a rafforzare l’odore del mare. Il mio lato nomade è felice.

Ripercorro alcuni posti già visti nelle mie vacanze estive, ma percorsi così, è tutta un’altra cosa. Le spiagge sono totalmente vuote. Ora è la Natura ad essere protagonista, le persone, in questo momento, sono solo da contorno a questo paesaggio. Resto incantato di questa continua bellezza.

Il mare batte costantemente. Mentre cammino, il mio sguardo si muove tutto attorno e coglie tutto quello che vede. Dal cielo, al prato, alle tende, alla bicicletta che passa in questo momento, al cane che corre dietro ai bambini, alla coppia di anziani che cammina l’ uno accanto all’altro, alla persona che sta sistemando un palo nel terreno, all’albero inclinato dal vento, alla costa che si prolunga lungo il senso del mio cammino, ai pensieri che mi salgono quando i miei occhi si posano su qualsiasi situazione, mentre l’animo silenziosamente ascolta e osserva.

Nella vita quotidiana siamo continuamente concentrati ed impegnati a risolvere tante cose, troppe. In questa continua attenzione, il mondo esterno scorre al di fuori di noi come sfumato e sfocato.

Il nostro comportamento continuamente rivolto a parlare, a fare, ad agire, ci porta ad avere una dinamica che si muove dall’interno all’esterno.

Qui avviene, accade l’opposto. E’ il mondo esterno a divenire protagonista. E la nostra azione è l’ascolto. Un movimento che va dall’esterno all’interno di noi e … ci riempie. Ho una sensazione di appagatezza e di fusione con le persone attorno e a tutto ciò che vedo. Nonostante la diversità di età e di nazionalità, in questo momento, in questo contesto, siamo tutti disponibili e aperti all’incontro e al saluto.

Noto, a volte, lo sguardo stupito delle persone nel vedermi camminare con lo zaino. Mi fanno spesso un sorriso di simpatia e di condivisione.

Il loro lato nomade è contento e mi augura un buon cammino.

Il tutto è un non detto. Ma istintivamente lo percepisco.

 Mentre cammino, non appena vedo uno scenario particolare, diverso dagli altri, uno scorcio, o qualsiasi altra cosa che mi colpisce, mi fermo e faccio una foto. Non ho l’attenzione rivolta a fare fotografie. Se vedo qualcosa che all’improvviso attira la mia attenzione, semplicemente mi fermo e fotografo.

Comincio ad avere un po’ di fame… Sono nel campeggio Polari. Lo conosco. Trovo una baracca di alimentari, acquisto un po’ di biscotti. Non mi fermo, li mangio camminando. Non so quanto tempo ci vuole per arrivare a Barbariga dove ho intenzione di arrivare, preferisco non interrompere il ritmo.

Passato Polari, il sentiero mi porta all’interno di un bosco.

Questa penisola è rimasta completamente isolata dal turismo.

C’ è un sentiero stretto che passa tra gli alberi, con la vegetazione fitta fitta e ogni tanto dal sentiero si diparte una piccola via che porta al mare, lungo un tratto di costa totalmente solitario.

Qui non c’è nessuno.

Mi fa un certo effetto camminare in solitaria in questo tratto di bosco, ogni tanto devo abbassarmi per passare tanto è fitta la vegetazione.

A volte il sentiero termina di colpo e non riesco andare più avanti. Lo cerco per un po’, lo ritrovo. So comunque dove è il mare, rimane il mio punto di riferimento. Ad un certo punto difronte ad un muro di vegetazione fittissima il sentiero si interrompe. Esco, quindi, dal bosco e proseguo camminando sugli scogli. Dalla camminata tranquilla sul cemento e i sentieri segnati, incrociando persone, ora sono qui che passo da sasso in sasso in contatto ravvicinato con il mare, con il rumore delle onde e completamente immerso nella Natura. Sono solo io e la Natura.

Per tutto quel tratto di costa non vedo nessuno. Sono solo.

Mi sembra di tornare in tempi lontani, antichi, quando l’uomo si trovava in un contatto totale e solitario con la Natura. Si avventurava da solo per andare a caccia. Questa era la sua vita.

Oggi, invece, noi siamo sempre tra persone. Quando andiamo al lavoro, sul lavoro, al nostro rientro, nei fine settimana, durante le vacanze. I rumori delle automobili, dei motorini, delle radio, della televisione, si susseguono e si sormontano. Anche quando andiamo al mare incontriamo qualcuno, sia nella bella stagione, sia fuori stagione, qualcuno c’è sempre.

Ma qui, in questo momento, il mio sguardo vede solo Natura e questa mi trasmette un senso di completo isolamento.

Ogni tanto faccio qualche tentativo per ritornare all’interno del bosco, per vedere se ci sia un sentiero che mi possa far procedere più velocemente.

Vorrei arrivare a Barbariga, ma sento che sono ancora molto distante e questo modo di camminare mi rallenta molto. Ma i tentativi rimangono tali. Così continuo a camminare per un bel pezzo salendo e scendendo su e giù per gli scogli, mentre il mare si fa sentire sempre costantemente.

 All’improvviso in una baia vedo in lontananza delle persone.

E’ l’inizio di un altro campeggio.

Nel naturale rilassamento, mi viene fame e avverto un po’ di stanchezza.

Due validi motivi per fermarmi. Vado nel bar lungo mare. “Quanto sono distante da Barbariga? “Una ragazza seduta lì vicino mi dice: “Una quindicina di chilometri, forse un po’ meno”.

La guardo e le rispondo: “Sono stanco e non ho tempo, very good situation”. Inoltre il piede destro mi fa male. La camminata sugli scogli ha accentuato un errore che ho fatto nella scelta delle scarpe.

Sono partito con un paio di scarpe da ginnastica con la suola spessa, ma morbida. Come cammino, sento sotto la pianta del piede, uno spessore, come se avessi messo male la calza. Non è proprio la calza, ma invece si è formata una bolla!

Per fortuna, prima di partire ho preso un altro paio di scarpe da ginnastica da ricambio. Quelle con le quali avevo fatto la Parenzana tre anni prima e mi ero trovato bene. E… effettivamente ora, con queste scarpe sento che il dolore è sopportabile e posso procedere. La prossima volta, indosserò un paio di scarpe con la suola un po’ più dura. Ora la bolla è fatta.

Dunque: punto della situazione. Sono un po’ stanco, avrei ancora altri quindici chilometri da fare ho una bolla al piede, domani dovrei camminare ancora per altri 25 – 30 chilometri? Mmh…. la poesia sta parlando con la realtà.

Ok, ripartiamo è già buona cosa che non mi faccia poi così tanto male. Proviamo a fare passi più brevi e un più frequenti, forse così migliora.

…Effettivamente è meglio.

 A questo punto il cammino non prosegue più lungo la costa, ma mi porta verso l’interno, nella direzione di una palude con un laghetto.

Questo è quello che comprendo vedendo la mappa.

Quale mappa?

Quella che ho scaricato sul mio miniipad. E’ un’applicazione bellissima, unica. Si chiama maps.me e si può scaricare gratuitamente da internet.

Si possono scegliere varie regioni e Stati. Ha una definizione incredibile e allargando lo schermo con le dita, riesco a vedere dove mi trovo nei minimi particolari. Incredibile, sono collegato con il satellite e una freccia azzurra mi dice esattamente dove mi trovo.

Magia della tecnologia ! Una magia che in parte ti toglie la sensazione meravigliosa dell’avventura, quel non sapere esattamente dove ti trovi, del dover ingegnarti per scoprire dove sei, e della gioia enorme quando riesci a raggiungere la destinazione. Però allo stesso tempo, tu che sei inesperto della zona, hai con te una guida, un punto di riferimento. Qualcuno a cui chiedere: “Dove sono ora? E adesso dove devo andare?”

A proposito … dove devo andare ora ?

Spostandomi all’interno, non ho più il punto di riferimento del mare e il sentiero si è moltiplicato in diversi sentieri, quale prendere?

Se camminando a piedi, si sbaglia percorso, diventa un errore che si paga.. Ogni passo fatto per rimediare ti ricorda il tempo e lo spreco di energie e soprattutto può pregiudicare l’ arrivo a destinazione.

Qui, in realtà, non c’è il problema dell’arrivo. La bellezza di questo cammino è il fatto che ci si può fermare e trovare un posto per dormire, in qualsiasi momento. La zona è molto turistica e ricca di campeggi.

Detto questo, quando ci si mette in mente qualcosa… si tende a raggiungerla o realizzarla. In questo caso Barbariga!

Ora sto seguendo un piccolo sentiero indicato dalla mappa. Incredibile, sono finito all’interno di un fitto bosco. Ma come fa questa applicazione tecnologica a segnalare un sentiero piccolo all’interno di un bosco fitto?

Se uno me lo dicesse, non gli crederei.

Con il piede va meglio. Il cambio scarpe è stato provvidenziale.

…Sto entrando in una riserva naturalistica. Esco dal bosco.

Dopo il paesaggio della costa, questo tratto di sentiero mi ha porta all’interno del verde più verde. Immediatamente, mi ridà le sensazioni provate durante la Parenzana.

Viene meno il rumore del mare che copre tutti gli altri suoni. Qui c’è un silenzio maggiore, gli uccelli si fanno sentire con tutte le loro armonie di suoni. Un’ape passa vicina e si fa sentire. Le vibrazioni dell’erba lunga che si piega al vento, mi circondano. La leggera tensione provate per l’esattezza del cammino, svanisce di colpo. Mi ritrovo circondato dalla calma più assoluta. Qualche grillo inizia a farsi sentire. Mi fermo.

L’odore dei fiori sostituisce quello del mare. Sorrido e riparto… ma quanto è bello questo viaggio ! Riparto, i primi passi sono più lenti. Proprio per dire, piano, piano … rimani qui, ancora un po’.

Il sentiero mi porta nel cuore della riserva naturalistica.

Una palude circondata da una staccionata di legno per preservare gli uccelli e il loro habitat. Il verde attorno, il giallo del cannetto fine e alto, l’azzurro dell’acqua nel centro della palude, il cielo coperto da nuvole di vari colori, le chiazze sparse di sereno , danno all’insieme una varietà di colori e armonia.

Faccio una foto. E’ bellissima.

Il sentiero circonda la palude, e mi riporta nuovamente sulla costa.

 Così finisce questa breve parentesi che mi ha portato in un altro mondo.

Ritorna il mare, la costa, qualche persona.

Mentre cammino ho la consapevolezza di essere in ritardo e non so se arriverò a destinazione. Decido quindi di andare avanti fino a dove posso arrivare, in caso contrario affitto una casa mobile in un campeggio.

Il panorama è sempre piacevole, è incredibile come la costa possa stupirti sempre per la varietà o la particolarità di una punta, di un molo, di una baia.

Proseguo il cammino attraverso il campeggio seguendo il sentiero.

Tutto è nuovamente avviato secondo una direzione e una aspettativa quando… Una rete altissima difronte a me! Guardo meglio e vedo che è la rete di recinzione di fine campeggio. Il sentiero sul mare non c’è.

L’unica strada che porta avanti è quella nella quale mi trovo ora e questa rete taglia in due il sentiero. Dal cancello chiuso vedo oltre la rete il proseguimento del sentiero, mi chiedo allibito come sia possibile.

Perché ci sono questi due cartelli di divieto? Cosa vogliano avvisare?

In una frazione di secondo comprendo che, se rispetto la rete di recinzione, significa dover rifare tutto il campeggio fino all’uscita per poi seguire una lunga deviazione di alcuni chilometri. Quindi, la certezza totale di non arrivare a Barbariga.

Scavalco! è il mio primo pensiero. Ma perché la rete di un campeggio è così alta? Perché vi sono questi due cartelli, cosa dicono? Qui non c’è solamente una rete altissima, ma anche questi due cartelli.

Mi sento in gabbia, la situazione non mi piace.

Qualche secondo di smarrimento, il mio sguardo si volge a destra e … uno squarcio nella rete! L’apertura è ampia e una persona ci passa comodante. Bravi! esclamo ad alta voce.

E’ la via di fuga o meglio… di entrata.

Attraverso la rete. Mentre lo sto facendo, noto che quell’apertura avrà degli anni, c’è della ruggine. Perché mai questa apertura non è stata riparata?

Ciò mi tranquillizza, e inoltre sono lungo un campeggio.

Mi rimane però, sempre un retrogusto di dubbio sulle conseguenze del mio gesto. La stanchezza e la voglia di arrivare mi fa andare avanti.

Mi ritrovo a camminare in un posto completamente desolato.

Vedo il mare, ma la costa è distante di qualche centinaio di metri.

La vedo dall’alto, sono sopra a un promontore. Osservo con attenzione il sentiero che sto attraversando. Lo vedo diverso dal solito.

La sua larghezza, il tipo di pietre messe di lato in modo regolare e dalla forma caratteristica. Alzo lo sguardo e … comprendo che questo sentiero, in realtà … doveva essere una linea ferroviaria! Una linea ferroviaria qui ? Ma per che cosa poteva essere utilizzata in un posto così isolato?

Il mio sguardo, alla ricerca di altri elementi che possano comporre il quadro, s’ imbatte, in una grossa costruzione di cemento dalla forma massiccia e priva di finestre, ad una certa distanza

I miei occhi si spalancano di colpo e dico ad alta voce: “Sono in una zona militare!!!” E adesso? Ma perché hanno lasciato aperto un passaggio se questa è una zona militare? Forse lo era. Anzi di sicuro lo era, ma lo è ancora? Nel senso che non ci sono più i militari operativi, ma rimane ancora un territorio riservato ai militari? Un dilemma mica da poco.

Le conseguenze di una mia eventuale scoperta sarebbero piuttosto consistenti.

Per prima cosa decido di non fare nessuna foto. Se mi prendono, almeno su questo non possono dire nulla.Gli antichi ricordi dei tempi della Jugoslavia sono scattati dentro di me.

Per il momento, qui non vedo nessuno. E poi… Se proprio vogliono che nessuno entri in questo territorio, perché lasciare un varco nella rete in bella vista nella quale ci passano tutti? Decido di proseguire.

Sono in parte tranquillo, in quanto penso che se i militari vogliono impedire che si entri in una zona, te lo impediscono.

Sono di nuovo totalmente isolato nella Natura, ma questa volta la possibile presenza dell’uomo rimane una minaccia di sottofondo. Attraverso questo posto in un trambusto di sensazioni. Tra la preoccupazione della violazione di un divieto e il fascino di questo posto. Così come è affascinante camminare su una ferrovia, dove una volta c’è stata la vita.

Fa sempre effetto arrivare in un luogo nel quale una volta c’era la vita ed ora tutto è spento, non c’è più nulla. La Natura attorno è selvaggia, la costa laggiù in fondo è rimasta intatta così, com’era da sempre. Nessuna opera turistica, nessuna presenza umana l’ha snaturata. Passare da un campeggio turistico curato a questo posto immutato nel tempo è un grande balzo. Avanzo. E’ il termine giusto. In quanto ogni passo mi porterà prima o poi alla fine di questo territorio, per poi ritornare alla “civiltà”.

Ma avanzo anche perché temo che ad ogni passo potrei incontrare qualcuno in divisa che non vorrei proprio vedere.

Il percorso è lungo. Ad un certo punto, in distanza, vedo… un’altra rete! Ovvio che doveva esserci. Ma mi fa effetto ugualmente.

In questo caso, comunque, la decisione è già presa: scavalco.

Mi avvicino, spero di trovare un altro buco per uscire… mi avvicino al cancello e sulla destra c’è una porticina… E’ aperta!

Di colpo mi rallegro. E’ la fine di quella zona.

Questa situazione era inaspettata, ma ora che tutto è finito bene, mi sento felice e ricco di questa esperienza. Il passo ritorna leggero e il pensiero si apre nuovamente.

Proseguo il cammino lungo il sentiero e dalla mappa scopro che Barbariga è più vicina di quello che pensavo. O la ragazza si è sbagliata o l’adrenalina ha fatto il suo effetto.

Proseguo contento quando…. in lontananza…. NOO! Di nuovo un’altra rete con cancello. Sarò mica ancora dentro la zona militare ? Qui cominciano per davvero i problemi? Il mio sguardo cerca disperatamente il possibile cancello aperto … Così è.

Mi volto a guardare il cancello appena passato e vedo che al lato di esso, ci sono due sagome a forma di granate a indicare appunto la presenza militare. Ora sì che sono fuori.

Controllo la mappa. Ho due possibilità: taglio per l’interno e punto diritto a Barbariga, oppure faccio tutto il giro della costa? Scelgo la costa.

Il piede, con le scarpe nuove, sta meglio. Fisicamente mi sento bene e anche se arrivo a Barbariga verso sera, so comunque che arrivo.

Bene ! avanti.

Riprendo il cammino. Questa volta il percorso lungo il mare in zone nelle quali non ci sono strutture turistiche. Siamo al tramonto. La zona è appartata, la Natura è nel suo momento di rallentamento, l’aria è più fresca, i colori sono più caldi, sono contento e soddisfatto.

La strada mi porta in direzione Barbariga.

…Adesso però, la stanchezza si fa sentire. La strada è più lunga di quello che pensavo. La mia scelta di prima è stata condizionata dall’adrenalina e dalla contentezza dell’essere uscito dalla zona ex militare. Ma ora, sono già le 20 e ho un bel po’ di strada da fare ancora e non so dove andrò a dormire.

Fabrizio, prima di partire, mi aveva detto che Barbariga è formata da un gruppetto di case ed era difficile trovare un posto per dormire. Mi aveva consigliato, perciò, di arrivare in un altro paese. Forse sarebbe stato meglio accorciare la strada, arrivare ad un orario adeguato per trovare alloggio. Inoltre… sta per piovere, anzi, eccole qua le prime gocce!

L’unica cosa che mi rimane da fare è accelerare il passo.

…Ecco le prime case di Barbariga!

L’entrata è piuttosto deludente. Arrivando dal mare incontro varie case sparse, senza un giardino curato o presenza di vita. Sono alloggi per turisti con parcheggio davanti casa. Ma ora, non ci sono né turisti, né macchine. Mi sembra di attraversare un villaggio fantasma. Non c’è nessuno.

Una desolazione totale.

Decido di puntare su un ristorante, indicato sulla mappa. Al ristorante conosceranno pure qualcuno che affitta una camera o forse posso trovarlo da loro stessi.

Entro nel locale, italiani seduti ai tavoli a cenare, scherzano tra di loro, parlo con il gestore e …YES! Ottengo una camera per una notte.

Tolgo lo zaino… Malissimo. Sento le spalle doloranti. Sono praticamente da otto – nove ore che cammino senza fermarmi. Anche le gambe sono un po’ indolenzite. Mi infilo nella doccia calda e ci rimango dieci minuti buoni. Sono a Barbariga. Dove volevo arrivare.

Mi vesto rapidamente per andare a cena , qua non ho molta scelta di vestiti.

Festeggio il tutto con un piatto di fusi con capriolo e un quarto di vino nero. Forse mi hanno visto arrivare con lo zaino, o forse è il loro modo di servire, fatto sta che il piatto è veramente enorme.

Sto cenando e inizia a piovere a dirotto. Oggi mi è andata bene!

Alla fine faccio “un due passi” nel silenzio della notte, nel chiaro della luna. Sono partito solamente ieri sera nel tardo pomeriggio, e mi sembra tanto ….tempo fa.

L’odore della terra bagnata profuma la notte con la luna piena.

Domani si ricomincia.

TERZO GIORNO

 Mi alzo. I suoni della campagna. Il campanaccio di una mucca mosso lentamente, gli uccelli del mattino, qualche gallina, un lontano belato di pecore, il variare del tono del cinguettio vicino e lontano delle rondini in volo. Una calma assoluta. Faccio due passi all’aria aperta prima di fare colazione. L’aria fresca del mattino un po’ alla volta mi sveglia.

Cammino attorno al ristorante quando vedo una recinzione e … dentro ci sono una quarantina di caprioli seduti che mangiano l’erba. Mi fanno una tenerezza infinita. Non hanno paura di me e continuano a mangiare l’erba tranquillamente, sono seduti e mi guardano con quel loro muso dolce, con gli occhi grandi e ingenui nella loro accoglienza.

Ripenso al mio piatto di ieri sera e guardo loro. E’ la prima volta che mi trovo così vicino a un capriolo che mi guarda tranquillamente. La sua espressione è dolcissima. Prendo dell’erba e l’avvicino alla rete. Anche gli altri si avvicinano e vengono a mangiare. Vederli così da vicino, così mansueti, con i loro occhi teneri a pochi centimetri dal mio viso, mi fa pensare… sul mio prossimo piatto di fusi al capriolo… Se lo prenderò.

Rientro in trattoria.

Sono solo io e una donna, mi saluta, va in cucina a prepararmi la colazione. Le chiedo se può darmi un po’ di tutto. E di tutto è!

Nel silenzio della grande sala, mentre gusto i vari salumi, uova, marmellate, pane casereccio ecc… sento il rumore del coltello della donna che in cucina taglia la verdura sulla tavola di legno. Per un momento ritorno bambino. Mi colpisce questa sensazione. E immediatamente entro in un’atmosfera già vissuta. Rivivo ora, nuovamente quel momento.

Quel rumore sulla tavola, la donna che prepara il cibo, mi rassicura con la sua presenza. La musica di sottofondo, fa compagnia al suo lavorare e alla mia colazione. Mangio con calma senza pensieri. Quando si sta da soli e la mente è vuota per un certo periodo, le emozioni si amplificano.

In questo momento ho otto anni. Il notiziario croato. Rassicurato e protetto.

Una sensazione che tanti di noi ha provato da bambino mentre la mamma preparava il cibo in cucina.

E’ incredibile come ho potuto fare, ora, questo salto nel tempo. E’ durato qualche secondo, ma la sensazione è stata proprio quella. Il tempo per un attimo è tornato indietro.

…Bene, è giunto il momento di ripartire.

Preparo lo zaino. Nel farlo, mi rendo conto, piegando le poche cose che ho con me, che lo faccio con cura. Mi sono quasi affezionato a quei capi.

Quei vestiti sono unici. Non c’è un doppione. Ognuno ha la sua utilità.

La maglia del pigiama in realtà è una maglia a maniche lunghe che posso anche utilizzare per sotto se dovesse fare più freddo. Pochi oggetti, ma tutti importanti. Lo zaino è ottimo e comodo, posso aprirlo anche davanti senza dover pescare le cose alla cieca dall’entrata superiore.

E’ la casa del nomade.

 Zaino in spalla, bastoncino nella mano destra, miniipad nella mano sinistra, macchina fotografica di lato a destra nella custodia facile da estrarre. Eseguo i movimenti e inizio a camminare, come se fosse la cosa più naturale. Come se fossero anni che faccio queste cose. Invece sono partito solo l’altro ieri. E’ incredibile la capacità umana di adattarsi alle nuove situazioni e dopo un po’ di tempo, viverle come se fossero vissute da sempre.

Anche i semplici movimenti come il cercare le cose dentro lo zaino diventano consapevoli. Se prima era un cercare un po’ a tentativi tra le varie tasche, dopo, sai già dove si trova quello che stai cercando.

Ti senti un esperto.

Giornata ottima per camminare, c’è misto di coperto e sereno, non c’è vento.

Il mare, oggi, è così calmo. Ti invita a tuffarti, anche se siamo ad inizio mattino. Sulla costa non c’è nessuno. Faccio qualche foto. Mi sembrano belle queste foto. Non sono un fotografo, ma quando alla sera, a cena rivedo quelle della giornata, le trovo stupende. Sono proprio i luoghi così belli a renderle così.

Passo passo, continuo a vedere tutta la costa istriana.

Qui non ci sono campeggi, per cui l’atmosfera è ancora più rilassata.

…. il sentiero finisce e mi porta sulla strada asfaltata. Guardo la mappa. Effettivamente non ci sono alternative, fino a Peroj devo farmi questo pezzo di strada. Il traffico è rado e con un minimo di attenzione il cammino rimane comunque tranquillo.

 Dopo Peroj, eccolo qua di nuovo, un sentiero che mi porta di nuovo al mare. Cammino lentamente, non c’è fretta.

I pensieri lungo questo cammino, e in questa atmosfera, hanno il tempo di soffermarsi. Come lo sviluppo delle fotografie, di una volta, così le immagini prendono forma a poco a poco. Le situazioni presenti e passate diventano un po’ alla volta sempre più definite e chiare nella nostra mente.

Nel cammino le emozioni, i sentimenti, i pensieri, decantano .

Lascio che i pensieri scorrano, ma soprattutto lascio che il mio corpo assapori e viva appieno questa costa istriana. Esiste un altro mondo.

Esso è qui a portata di mano.

Vedo in lontananza il paese di Fasana. E’ bellissimo a vederlo da qui.

Ha proprio una bella forma e bellissimi colori. Da lontano si vede la chiesa.

Mi avvicino, il paese viene incontro a me un po’ alla volta e da lontano che era, diviene vicino, fino ad entrarci.

Ci sono molte persone. Un gran movimento di scolaresche e di giovani. Probabilmente prendono il traghetto e vanno sulle isole di Brioni.

Mi fermo per un pranzo leggero e via, si prosegue.

Il sole filtra i suoi raggi più forti attraverso le nuvole e fa brillare il mare.

Le isole Brioni circondano il mare. Che dire. Un’immagine che le foto potranno farmi ricordare questo momento, ora dentro di me.

Così, come dentro di me, è il rumore di una gara mondiale di moto d’acqua. Impressionante ! Se in estate, due moto d’acqua si fanno sentire, immaginarsi ora, che sono a decine, è come essere in un vespaio gigante.

Gli atleti sono i migliori di questa competizione. Uno fa addirittura dei salti mortali. Ne fa due di seguito. Notevole.

La gara, non è di esibizione, ma di corsa. Seguono il tracciato segnato dalle boe come se fossero in moto, con curve brusche e accelerazioni veloci.

Amici degli atleti sono sulla spiaggia con musica a pieno volume, con musiche degli ACDC.

Un rumore assordante, ma vivo. E’ competizione!

 Lascio la visione della gara, e mi allontano lungo la costa. Il rumore delle moto, continua a massacrare il panorama.

Il cammino riprende la sua “routine”. Macino lentamente la costa e seguo tutte le sporgenze, baie ed insenature. Ho tutta la costa istriana nei miei occhi da Parenzo fino a qua.

Entro nel campeggio Brioni. Sono nel mio camminare, quando sento, “Ciao !”

E’ una bella donna che mi saluta. La guardo e le dico “Ciao !”

Mi sorprende che si sia rivolta a me in modo così spontaneo e immediato. “Vuoi un bicchiere di birra?” “Certo!” Si chiama Carmen e la sua amica Natasha. Carmen, quella che mi ha salutato, ha due bambine. Resto seduto con loro piacevolmente. Dopo Andrea, e la cameriera Natasha, sono le prime persone con cui parlo. Così, mi fermo con loro.

Stiamo bene assieme e lascio trascorrere il tempo.

Seduti sugli scogli, senza zaino, il sole dietro a noi, lo scherzare e il condividere. Come Ulisse lungo il viaggio e le sirene.

Dopo un po’, dentro a me, sale un richiamo. Dice …avanti!

Ok. Agli ordini. Saluto le due donne e le loro bambine e proseguo.

Guardo l’ora e… è tardissimo. Sono le 18 e 30!!!

Sono all’inizio del campeggio di Brioni e devo arrivare a Pola per poi spostarmi in qualche zona sul mare.

Valutata la situazione, decido di tagliare parte della costa e dirigermi dritto dritto verso Pola, passando per alcune zone interne.

La mappa diventa quanto mai essenziale per fare questa variante al percorso senza perdermi. Mentre cammino traccio la rotta.

Veramente ho poco tempo. Il mio passo è decisamente veloce.

Sono entrato nuovamente in un’altra atmosfera. Ora è la lotta contro il tempo. Il panorama e le riflessioni sono messe da parte.

Adesso l’unico pensiero e quello di seguire la strada corretta. Farlo nel modo più veloce possibile. Riuscire a calcolare più o meno, in base alla strada che faccio, le possibilità di arrivare e dove voglio arrivare. Il punto è, che in questo caso, non so nemmeno io esattamente dove voglio arrivare. Ma questa soluzione la rimando più tardi e mi dico “Adesso, cammina e vedi dove arrivi” .

La mappa indica un sentiero che si infila dritto dritto in un bosco.

Lo seguo. Il sentiero si fa sempre più piccolo. Comincio ad avere difficoltà a passare. Devo abbassarmi con tutto lo zaino per evitare i rami bassi che da una parte all’altra del sentiero tendono ad unirsi. Mi chiedo come faccia la mappa a rilevare questo sentiero così minuscolo in mezzo ad un bosco. Anche lo spazio per le gambe è limitato. Il sentiero diventa praticamente una linea sulla quale ci stanno solamente due piedi ravvicinati.

Cammino velocissimo, il piede mi fa male, ma è sopportabile. Tra me e me dico. “Ma pensa tu se mi devo trovare in periferia di Pola, in mezzo ad un bosco nel quale faccio difficoltà ad attraversare, se mi succede qualcosa, ma chi vuoi che venga a pensare che io mi trovo in questo luogo?”

I rami si fanno sempre più fitti. La mia reazione, invece di rallentare, è quella di andare avanti lo stesso, con la stessa intensa andatura, e spezzo i rami mentre passo. Comincio a farmi male, quando qualche ramo mi sfrega le braccia. Vado avanti fino a quando , il sentiero diventa un groviglio di rami e non riesco più a passare. Che fare? Sulla destra vedo una linea di pali elettrici che corrono paralleli al sentiero. -Va bene – dico, esco da qui e seguo la linea dei pali. L’idea mi sembra buona, ma ovviamente il terreno tra palo e palo non è un sentiero.

Non posso fare molta strada, e il cammino è estremamente lento.

Scuoto la testa, come a dire, “Tornare indietro ora, per prendere un’altra strada, significa avere la certezza del non arrivo.” Vado avanti ancora per un po’, a lato del sentiero, forse quel groviglio di rami era solamente in quel tratto… Così è! Ritrovo felice l’imbocco del sentiero e continuo la marcia forzata. L’indicatore sulla mappa, mi dice che ho ancora un chilometro da fare e poi dovrei arrivare in una strada più grande. Confidiamo.

….Il sentiero si allarga, bene, sono di nuovo in corsa. Il ritardo mette le ali ai piedi e non mollo. Rispetto ai miei obbiettivi la mappa mi indica una distanza impossibile da raggiungere in tempo, il sole sta tramontando. Cerco di fare una stima mentre cammino, la risposta è: “NO TIME!”

Ok, allora mi dico nuovamente: “Mantieni questo passo e arriva dove puoi arrivare!”.

Diventa una maratona. Mi chiedo se tutto ciò ha senso, rispetto allo spirito iniziale di questa camminata… Fine sentiero balordo!

Bene, adesso bisogna seguire questa nuova strada, girare a destra e da lì conteggiare la costa. Seguo la strada, faccio la curva a destra e…

Cancello di sbarramento con relativa rete. Di nuovo zona militare?

Mi avvicino e vedo che un cancellato sulla destra è aperto! Non rallento nemmeno un secondo. Vedere il cancello e passare oltre, è stato un attimo. La strada è asfaltata, ciò agevola la mia velocità. Lo sguardo rimane fissato sulla mappa voglio evitare errori tra le strade che si intersecano.

Un gruppo di ragazzi e ragazze corrono assieme in questo parco. Effettivamente il posto è molto bello. Mentre attraverso questo luogo, all’improvviso, vedo una costruzione in cemento. Dalla struttura capisco subito che non è civile. E’ in uno stato di totale abbandono, sono edifici militari. Altri un po’ più in là. Subito dietro, altri ancora. Nel loro decadimento, dovuto al tempo, e per quello che hanno rappresentato, sono affascinanti. Il fatto di essere in un territorio che una volta era riservato ai militari, fa pensare come i tempi di oggi siano così diversi da quelli di allora. Che contrasto vedere ragazzi e ragazze che corrono a fianco di questi edifici così carichi di significato in stato di abbandono.

Edifici vecchi e in rovina, con a fianco ragazzi giovani nel pieno della loro giovinezza.

Mi fermo un attimo a fotografare alcuni edifici e via! La maratona riprende.

Il parco finisce e la strada porta allo stradone principale di Pola verso il suo centro. Due pensieri continuano a ripetersi costantemente nella mia mente : sole basso sulla mia destra e niente tempo per arrivare dove, nel frattempo, ho deciso di volevo arrivare… Stoja!

Passo spedito, nessuna fermata.

Il piede fa male, ma non calo il ritmo. Fisicamente mi sento bene, anche se un po’ stanco. Il lungo rettilineo mi fa capire quanto il centro di Pola sia ancora lontano. L’arrivo a Stoja, inoltre, è dall’altra parte della città….

La stazione dei treni sulla sinistra, il tramonto sul mare alla destra, difronte, alla fine del rettilineo, si apre l’ampia curva a delineare la baia di Pola. Giungo alla fine del lungo rettilineo, e come se fossi su un’automobile, seguo i cartelli stradali che indicano Stoja. Costeggio i cantieri navali di Pola, faccio la salita che mi porta dall’altra parte della collina.

 Perché voglio andare proprio lì ? Perché avendo cambiato la mia meta di arrivo, voglio arrivare in un posto che per certi aspetti sia simile all’ atmosfera di Promontore. Rimanere nella Natura, sul mare e raggiungere un punto estremo con il mare attorno.

 …Sono già passate le 20 quando giungo sul crinale in direzione finale.

A questo punto rallento il passo. Anche se non so ancora dove andare a dormire, sono ora comunque nella zona che mi ero promesso di arrivare ! In quell’attimo di rilassamento, la stanchezza comincia a salire, così come il dolore al piede. Inizio a zoppicare un po’. Suono il campanello di una casa e.. “Mi dispiace ma abbiamo un appartamento e non affittiamo per un giorno solo”. Chiedo ad alta voce da chi posso andare. Io sono in strada e lei sul poggiolo. Una signora di fronte, sente e mi chiama per andare da lei. E’ una donna cordiale e distinta. Mi fa entrare e mi mostra l’appartamento. Mi dice che loro nella bassa stagione lo affittano a 50 Euro al giorno per una settimana, ma che purtroppo non lo affittano per un giorno solo. Dentro di me, non capisco che problema c’è per affittare solamente una notte. Non uso mica tutti i letti ! Solo uno. E poi non uso neanche la cucina, in quanto mangio fuori. Mi dice che può fare uno strappo alla regola e me lo lascia per 50 Euro una notte. Mi sembra eccessivo per una notte in maggio in Istria. Però è tardi. Sono stanco e tutto sommato posso farmi una doccia e mangiare ad un’ora ancora decente. La guardo e le dico: “Facciamo 40 Euro.” Mi aspetto che accetti. Invece, mi dice che non può, ma se non trovo a meno, posso comunque tornare da lei. La ringrazio per la sua disponibilità e comunque, effettivamente, resta sempre una base su cui contare nel caso in cui non trovi altro.

Che fare? Visto dunque che sono vicino al campeggio di Stoja, se devo pagare 50 Euro, per una notte, preferisco pagarli per una casa mobile per due, in mezzo alla Natura del campeggio. Riprendo il cammino in direzione campeggio. Questo si trova alla fine di una discesa, e il piede in discesa si fa sentire. Arrivo. Hanno solo case mobili da cinque persone per 75 Euro la notte. Rifaccio la salita e ritorno alle case di prima. Sono quasi le 21, la luna mi guarda. Sulla destra c’è la baia con le barche dei pescatori sui quali la luna riflette la sua luce. Attimo di romanticismo… prima di tornare alla ricerca della camera come un Rottweiler.

Nella salita, avverto all’improvviso un calore sotto il piede. Qualcosa lì sotto è successo. Al momento, però, non sto proprio malissimo. Cammino zoppicando un po’. Cerco un’insegna con la scritta -Apartment-. Vedo un’insegna, c’è un signore anziano che sta sistemando qualcosa in giardino, mi sembra un tipo tranquillo. “Buonasera” gli dico. “Buonasera”, risponde. “Che cosa cerca ?” “Sto cercando una camera per dormire.” “E quanti siete?” Lo guardo sorridendo e rivolgendo le mani verso di me gli dico “Uno.” “E per quanti giorni?” “Sono in viaggio, una notte sola.” A questo punto anch’egli inizia con la storia dell’appartamento dato in affitto solo per una settimana, per il motivo di dover lavare le lenzuola. Tra me e me penso: “Ma quanto costa lavare le lenzuola qua!?” Gli dico: “Beh, consideri che adesso siamo in maggio, sono le 21 ed è difficile che possa venire qualcuno. E poi qualche soldino è sempre qualche soldino”.

Ed egli mi fa: “E quanto darebbe?” Lo guardo e gli rispondo: “30 Euro, per una notte mi sembra bene.” Vedo che si anima, in senso buono.

Si avvicina oltre la rete del recinto di casa, come per farmi una grande confidenza e mi dice: “Guarda, per me anche sì, ma devo chiedere a mia moglie se è d’accordo.”

Lo guardo e appoggiato in piedi sul bastone, rispondo: “Va bene, veda se sua moglie le dà la propusnica!?” Non so come mi sia uscita fuori questa frase. Molto vera nel suo, ma che a lui poteva sembrare offensiva.

Solo il modo in cui l’ho detta, era cordialmente sincero e scherzoso.

Mi ritrovo ora qui, con la luna sopra di me, in attesa della propusnica della moglie. Il tempo passa. Più del normale. Penso comunque che mi dia la stanza. Lo vedo uscire con le chiavi in mano. Mi mostra l’appartamento. Tempo di mettere giù lo zaino ed esco per la cena.

Di nuovo giù per la strada fino al campeggio. Se prima non sapevo dov’era Stoja e come era fatta, ora sono un esperto!

Cena al campeggio, all’aperto, mezzo litro di birra, rivedo le fotografie del giorno, e mentre mangio, annoto gli eventi principali della giornata.

Ora sono in piedi sotto un lampione a scrivere le ultime impressioni per non perdere il filo delle emozioni. Il mare è calmo , la luna piena irradia la sua luce, le civette fanno il loro verso. Ieri sera ero a Barbariga, oggi qui a Stoja. Ancora qualche momento per assaporare la serata e poi rientro nell’appartamento. Ultima salita, prima di rientrare.

Notte!

QUARTO GIORNO

 Mi sveglio completamente riposato. Come se non avessi camminato.

Magia della contentezza. Solo la bolla è lì a ricordare. Provo una strana sensazione. Cammino sul pavimento con i piedi scalzi e mi sembra di avere qualcosa lì sotto d’ ingombrante. Il grasso di cervo, ha fatto un vero miracolo.

Preparo lo zaino. Nel farlo, riprovo le stesse sensazioni di ieri .

Tutto quello di mio che c’è nella stanza rientra miracolosamente in quel sacco. Provo gusto nel sistemare le cose. Sono poche e grazie a loro ho potuto fare questo viaggio. Do valore a tutto mentre ripongo all’interno dello zaino. Ogni oggetto ha la sua funzione, ed è per questo che è stato scelto. La ripetizione dei gesti è rassicurante. Diviene l’unico momento di ripetizione, di una piacevole routine fatta in un cammino che ti sorprende e ti meraviglia in ogni momento.

Ultimo controllo della stanza prima della partenza e … in quel momento, Giulio il proprietario, mi viene a salutare. Gli sono simpatico e lui a me.

E’ venuto per offrirmi il caffè. “Sto per partire”, gli dico. Alla fine rimaniamo a conversare e mi presenta sua moglie. Poi in confidenza mi dice: “Sai, tu sei il primo turista della stagione!” Saluto Giulio con calore. Stare da soli, porta ad essere più calorosi e intimi con le persone che si incontrano. Il nostro affetto non si disperde tra le persone con le quali conversiamo ogni giorno. Ma durante un cammino, si ricarica lentamente. Poi, quando incontriamo una persona cara , riversiamo questa intimità coinvolgendo noi l’altro.

 … Sto per uscire con il mio completo da viaggio: zaino in spalla, bastoncino sulla destra, miniipad sulla sinistra, macchina fotografica di lato sulla cintura.

Ritorno nuovamente al campeggio. La prima cosa da fare è stampare i biglietti dell’autobus. Li ho nel mio minipad , ma sul biglietto c’è scritto “Biglietto da stampare”. Così vado alla reception, invio per email il biglietto e loro cortesemente me lo stampano.

Bene, ora ho tutto. Ho l’ultimo appuntamento con Stoja, la punta del campeggio! Non lo sento però come un atto conclusivo di questo viaggio, ma solamente come un passo intermedio. Perché, ho deciso che la conclusione del viaggio si concluderà questa sera con Andrea nel bosco di Rovigno. Questo viaggio non deve finire in solitaria, ma in compagnia. Vuole uscire da quel tavolo, così ben descritto da Andrea, dove le regole sono già scritte, così come le sue aspettative e conseguenze. Vuole uscire, per scoprire anche un’altra realtà pronta a sorprendere, proprio perché inattesa.

 Nel frattempo, sono qua. I miei passi mi conducono al campeggio.

E’ così bello in questo periodo. Questa atmosfera così tranquilla, questo clima così piacevole. Mentre cammino mi sembra di riposare, non oso pensare chi è seduto a leggersi un libro o a non fare nulla se non guardare il mare.

Arrivo alla fine del campeggio, la punta! E’ bellissimo. Il mare è aperto, difronte a me e tutt’attorno. Sono arrivato. Sono felice, appagato e ancora pieno di tutte le emozioni dei giorni precedenti.

Bene, ora inizia il rientro dalla punta di Stoja.

 Prendo al volo l’autobus che dal campeggio porta a Pola.

Scendo in centro città e vado alla stazione degli autobus per controllare che tutto sia regolare e non ci siano variazioni negli orari.

Fa caldo. Oggi sembra veramente estate. Se ci fosse stato questo caldo nei giorni scorsi, il cammino si sarebbe trasformato in qualcosa di molto, ma molto più impegnativo e meno interessante. Tutto ok per il biglietto.

….Eccomi qua pronto, al marciapiede numero 5…. Rischio di non partire. Non si sa se l’autobus viene… alla fine ok, ma arriva un’ora più tardi. Mai dare nulla per scontato.

Sull’autobus, mentalmente rivedo il viaggio e penso a quali eventi futuri ancora mi aspettano.

 Arrivo alla stazione di Parenzo e come metto il piede a terra, mi sale un sorriso. Sono proprio contento di essere arrivato. Walter abita proprio lì vicino alla stazione. Lo chiamo. “Vieni!”, mi dice.

Ci troviamo di nuovo al tavolo di cucina con ciliegie, il bicchiere di vino e il racconto del mio viaggio. Il tempo è breve, tra poco ho l’appuntamento con Andrea ad Orsera. Metto su lo zaino, e ci abbracciamo con la promessa di rivederci presto.

Mi incammino verso l’automobile.

Il viaggio ha ancora qualcosa da raccontarmi.

Ecco Andrea! Un caloroso saluto e subito dopo arrivano le sue amiche Ivana, Ursa, Ivana per andare alla festa. Durante la strada raccogliamo altre persone. Alla fine siamo in tre automobili. Scherziamo e ridiamo come se ci conoscessimo da tempo. Ci infiliamo in una strada bianca che ci conduce in un posto sperduto all’interno dell’Istria. Siamo immersi nel verde della campagna e dei boschi.

Arrivati. Ci stavano aspettando e … non ci posso credere… in mezzo al bosco una casa enorme, alta e lunga. E’ il teatro! Una ragazza corre verso di noi, ci prende per mano e dice: “Bienvenidos, benvenuti, venite, venite!” Ci trascina all’interno del teatro come fossimo dei bambini ai quali si dice di fare in fretta. Lo spettacolo ha inizio!

Attorno a me ci sono uomini e donne giovani. Ci sono tanti bambini.

Sono tutti in prima fila in tutte le posizioni possibili: seduti, distesi, in braccio alle madri, in attesa della recita, per loro!

La fisarmonica ci incanta, così come la ragazza che la suona. Ha un viso bellissimo e forte. I suoi occhi sono neri, intensi. Occhi di chi non può stare fermo in un posto. Ha bisogno di emozioni forti. Un grido! Un’altra ragazza inizia la recita. E’ la ragazza che ci aveva accolto all’entrata. Le ragazze si ingegnano in questo spettacolo, tra la musica e la recita e i bambini rimangono ipnotizzati. Qui c’è anche magia! Le due donne fanno qualche gioco di prestigio mentre travestiti da animali entrano cinque bambini.

I bambini “attori” sono i figli delle due donne! A questo punto lo spettacolo si trasforma in un gioco generale dove le mamme – artiste – fanno esercizi di spettacolo, di musica e magia e i figli partecipano divertendosi. Questa allegria generale si trasmette al pubblico. Tutti sorridono trasportati da questa atmosfera di altri tempi.

L’artista della fisarmonica si esibisce anche in esercizi ginnici.

La femminilità e la forza assieme. Rimango letteralmente a bocca aperta, quando piegata in avanti, con la fisarmonica appoggiata sul sedere, suona la fisarmonica con le mani dietro al corpo!

I trampoli! L’altra artista entra montando i trampoli e balla mentre l’altra continua a suonare la fisarmonica. Per i bambini è magia pura! E anche per noi adesso.

Lo spettacolo vola, gli applausi fanno da cornice finale. Usciamo dal teatro e …. Vedo una Carovana. Una Carovana? Si, come quelle che si vedono nei film western. Di colore viola con la scritta “IL TEATRO DEL VIENTO”. Un nome che esprime totalmente lo spirito di questo teatro familiare.

E lì, più avanti, ce n’è un altro! Certo, è quello che appartiene alla seconda artista. Mi raccontano che da due anni queste ragazze con i loro figli vanno in giro per l’Europa nei vari Paesi a fare gli spettacoli e offerta libera come pagamento.

Resto ad osservare i carri… trainati da cavalli! All’improvviso sento il chiocciare di galline provenire dal carro. Resto incredulo. Mi abbasso… Sotto il carro, ci sono gabbie con galline!

Effettivamente durante lo spettacolo hanno usato anche una gallina… Mi dicono che c’è anche una capra con loro. Non so dove la sistemino, ma sorrido. Mentre guardo l’interno della carovana mi ritornano in mente le parole di Andrea. Vedo giocattoli, quaderni e libri. I figli si istruiscono qui. Uno stile di vita unico. Rimarrà loro nel sangue per sempre. Eccoli che arrivano! Contenti, in movimento , educati nella loro vivacità, parlano più lingue.

La festa ha inizio. Ognuno ha portato qualcosa. Chi era qui, ha cucinato tutto il giorno con il fuoco a legno.

Un grande fuoco viene acceso all’aperto. Ci mettiamo tutti attorno, seduti su dei tronchi di albero. Si parla, ci si racconta, ci si conosce, si scherza, si gusta il cibo. L’artista riprende la fisarmonica dello spettacolo ed inizia a suonare. A loro si aggiunge un’altro ragazzo con la fisarmonica.

Li vedo oltre il fuoco, mentre la luna piena si fa vedere tra i rami. Le loro note riempiono di atmosfera la sera come solo una fisarmonica sa farlo. Allegria e malinconia si mescolano assieme. Altri suoni si mescolano alle fisarmoniche. Quello del parlare, dello scherzare delle persone, il crepitio del fuoco, il canto degli uccelli nel loro dialogare. La luna è sempre lì.

Qualche ora fa ero da solo a Stoja. Ora sono qui con un gruppo di quaranta persone delle quali un terzo sono bambini. Sono qui con la sensazione di essere presente e assente allo stesso tempo. Presente, perché ci sono fisicamente, assente, perché mi sembra di assistere alla scena di un film. Una scena, una atmosfera che ricorderò per tutta la mia vita.

Grazie Andrea. Grazie per quel tuo gesto di tornare indietro lungo la strada che stavi percorrendo per vedere chi fosse quel tizio, che come te, piace camminare e immergersi nei panorami e negli incontri che la vita può dare.

La mia macchina fotografica scatta le ultime foto e video per portare con se questa atmosfera.

Anche se la situazione porterebbe a farlo, le persone non bevono né alcool né fumano. Qualcuno è astemio, altri bevono normalmente. I bambini sono contenti e scherzano tra loro, i genitori parlano scherzando tra loro oppure se ne stanno tranquilli, i cani, dallo sguardo mansueto si mettono vicini a raccogliere carezze a più mani. Festa per tutti. E’ una scena da anni ’60 in tempi attuali.

Una donna prende due corde con qualcosa di solido all’estremità e dà fuoco. Così, improvvisa il suo spettacolo. Anche lei è un’artista .

E’ un momento di condivisione tra artisti. Si esibisce con più strumenti infuocati facendoli roteare nell’aria, costruendo delle figure rotanti. Nell’oscurità della notte , divengono delle fiaccole traccianti e danzanti nell’aria. Le note delle fisarmoniche l’accompagnano. Nulla da aggiungere. C’è solo da guardare e ritrovarsi come i bambini seduti, rapiti da quello che sta accadendo con la bocca semi aperta.

Lei finisce lo spettacolo tra applausi amichevoli e di riconoscimento.

La musica continua, ma questa volta è data da una chitarra. Il proprietario del luogo, dà seguito alla fine delle esibizioni con il fuoco. Il gruppo, ritorna a parlare, ognuno con la persona accanto.

All’improvviso arrivano due ragazzi che tengono in mano all’estremità qualcosa di grosso. Nell’oscurità, sembra un cinghiale! Lo appoggiano sul fuoco. Non è un cinghiale, è il tronco di una palma! Tutti si mettono a ridere.

La chitarra passa in altre mani. Una bella voce si aggiunge a queste mani esperte. Scopro così, che sono quasi tutti artisti. Hanno l’arte di fare e di esprimere quello che hanno dentro.

La chitarra arriva ad Alana, una ragazza Nord America e… seduta sul tronco, con il fuoco davanti che le illumina il viso e il vestito , inizia a cantare alcune canzoni dei Simon and Garfunkel. La dolcezza del suo modo così femminile, la sua voce delicata e fresca, fermano il tempo.

Tutti smettono di parlare per ascoltare quella voce dolce e bassa e il tuo animo dice: “Ascoltala”. Gli unici suoni che l’accompagnano sono il crepitio del fuoco, i versi di qualche uccello, il ridere improvviso dei bambini.

Che dire… “Poesia di vita”.

Tra uno scambio di parole e l’ altro, conosco alcuni di loro. La ragazza della fisarmonica si esibisce qualche volta a Trieste. Le dico che se ha bisogno di una base può contare su di me, così anche per l’altra artista.

Ivana, così si chiama la ragazza con la quale ho conversato per tutta la sera assieme a Luca e Andrea. Il tempo scorre in questa realtà straordinariamente fuori dalla vita di città. Qui l’animo trova la sua casa. Una casa abitata da Natura, bambini, animali, uomini e donne che sanno fare e dire qualcosa con le mani e il loro corpo.

Siamo stati tutti bene. Persone diverse, da posti diversi, si sono ritrovate qua. Abbiamo condiviso una serata che tutti noi ricorderemo.

Ci alziamo e ci avviamo all’automobile per il rientro. Metto in spalla lo zaino, per l’ultima volta. Sono con Andrea e Ivana. La luna piena è ora proprio sopra di noi e illumina a giorno la campagna.

Si parte. In automobile, riprendiamo immediatamente lo scherzare tra di noi. Ivana chiede ad Andrea: “Ma come ti è venuto in mente di conoscerlo?”

Lui: “Cos te vol, iero che andavo a Parenzo, quando ad un certo punto con un canton del’ocio vedo un baston, un zaino e uno che cammina. E go dito: “Ara, questo xe uno come mì.” E dopo cinquecento metri go dito: ma speta che vado a conoserlo, tanto no go niente de perder. E go girà la machina.”

… Bravo Andrea. Hai seguito quello che il tuo animo ti diceva in quel momento. L’hai seguito, senza tanti perché. Gli hai dato un seguito.

Così come il mio animo ha compreso che il fine del mio viaggio non era arrivare a Promontore, ma era il viaggio fine a se stesso per poi arrivare qua. Questo pensiero viene coperto dalla risata lunga di Ivana, divertita, perché ha immaginato la scena appena raccontata da Andrea. La sua risata diventa al cornice al pensiero appena fatto.

Mentre ridiamo, mi viene in mente un’altra cosa divertente…. “Andrea!? Ora che arriviamo vicino a casa tua sentiremo il tuo asino!”

…Si, Andrea, oltre ad avere un cavallo e una cavalla, ha anche un asino che raglia come un matto. Lo si sente a chilometri di distanza.

Proprio oggi i suoi vicini hanno detto a suo padre che l’asino, la sera precedente, aveva ragliato per tutta la notte come una mitraglia! Esplodiamo a ridere. Gli chiedo: “Ma come ti è venuto in mente di prendere un’asino, perché?” “Sai, avere un asino è sempre stato il mio sogno fino da bambino. Ma un asino costa. 2.000 Euro. E quindi il sogno è rimasto lì, nel cassetto.” Ma… un giorno, Andrea viene a sapere che in carcere volevano sbarazzarsi di un asino. Gli chiedo: “ Un asino in carcere? ma che ci fa?”. “Quello è un carcere riabilitativo e con l’agricoltura e gli animali vogliono ridare una di dimensione più umana ai carcerati. Volevano dare via l’asino , perché era sessualmente incontenibile. Voleva montare la madre e la sorella.” I custodi avevano mostrato l’asino ad Andrea e fatta la proposta di venderglielo per 500 Euro…. Andrea si gira e mi dice: “Quando go visto questo asino, go pensado che loro non si rendevano conto di quello che avevano. Per me era come se avessi visto una Ferrari abbandonata in un garage! “Ivana ed io esplodiamo a ridere. Non poteva fare un paragone migliore .

Gli chiedo: “Come l’hai chiamato?” ATTILA …Esplodiamo! Attila, è il nome perfetto!

Storditi dal ridere, scendiamo dall’automobile. Al nostro parlare a voce alta, al nostro scherzare con le lacrime agli occhi… la luna piena e il silenzio della notte ci accolgono appena usciti dall’auto.

Le ultime parole. Ci guardiamo. Ci salutiamo. Ci ritroveremo.

…Salgo in automobile …direzione Trieste.

Di notte, lungo la strada, libera dalle automobili, l’automobile va fluida.

Ma quanto tempo è passato? Era solo mercoledì pomeriggio quando sono partito, ora è sabato sera. Se chiudo gli occhi, e non è il caso, visto che sto guidando, posso rivedere tutta la costa istriana. Tutto il percorso è nella mia mente come in una mappa assieme alle emozioni provate e rimaste nel mio animo.

L’avere insistito nel partire da Trieste anche se era tardi. L’incontro con Walter, i nostri discorsi, con ciliegie e il bicchiere di vino. L’osare di partire alle 18 e 20 senza sapere esattamente a che ora sarei arrivato e dove sarei andato a dormire. Il fatto che proprio per essere partito così tardi, ho incontrato Andrea con tutti gli eventi successivi. La soddisfazione dell’arrivo ad Orsera, l’intimità della sera. L’amicizia nel percorso fino a Rovigno con Andrea e il tragitto assieme. Il tempo che minaccia di piovere da un momento all’altro, ma che impreziosisce il cielo di colori. Il mare con il suo rumore e odore di sottofondo. Gli incontri con le persone tranquille nel campeggio. I loro sguardi di apprezzamento e di spontaneo sostegno. Le foto che che hanno fermato le immagine particolari che mi colpivano per la loro bellezza ed armonia. La stanchezza piacevole della camminata. I dubbi poter riuscire ad arrivare a Barbariga. La bolla sotto il piede e la fortuna del secondo paio di scarpe. Il bastone sulla destra che mi ha fatto compagnia. Il miniipad nella sinistra che mi ha fatto da guida preziosa. La macchina fotografica sulla destra, che ha immortalato quello che ho visto. La camminata lungo gli scogli e la sensazione di uomo e Natura. I’ alto recinto del campeggio con i cartelloni di divieto e la zona ex militare… La bellezza di questo posto rimasto totalmente incontaminato nella sua Natura più selvaggia e brusca. Il sollievo provato all’uscita da questa zona. L’arrivo a Barbariga, e l’incertezza del dove andare a dormire con la minaccia della pioggia. La felicità di essere arrivati, quando mi hanno detto ok per la camera. Quella doccia calda. Il dolore alle spalle. La crema di cervo sulla bolla. I fusi con il cinghiale. Lo scrivere le note del viaggio alla sera. Lo sguardo veloce alle foto fatte durante il giorno. La lunghezza dilatata del tempo. La colazione “Di tutto di più” del giorno dopo. I caprioli nel recinto e le mie perplessità sul prossimo piatto di fusi. La ripartenza alla mattina con lo zaino, come se fosse una cosa naturale, fatta da sempre. La bellezza del tempo del giorno dopo con i raggi del sole tra le nuvole e il sereno. Il mare calmo che brilla con i vari riflessi. Il verde acceso dei prati e dei pini marittimi. L’arrivo a Fasana, mentre mi avvicino lentamente. La gara di motosky. Il cammino che prosegue nel variare della costa. “Ciao, vuoi un bicchiere di birra?” L’incontro con le due donne e le bambine nel campeggio. Il piacevole ritardo. La ripartenza, con la netta percezione che questa volta non ce l’avrei fatta. Il sentiero che si perde nel nulla e si chiude su se stesso. Il forzare la camminata tra i rami. La gioia nel ritrovare la strada. Di nuovo una zona militare. Il contrasto, tra quegli edifici in decadenza e i giovani nel massimo splendore della loro giovinezza. Il lungo rettilineo fino a Pola con la linea ferroviaria alla sinistra e il tramonto alla destra. Il pensiero fisso di arrivare a Stoja. Il passo forzato da maratoneta. Il dolore al piede per la bolla. Finalmente l’arrivo a Stoja alla sera. Le trattative per trovare la camera. Giulio e “Chieda a sua moglie la propusnica”. L’amicizia con Giulio la mattina seguente. La luna piena che si specchia nella baia di Stoja, con le barche ancorate. Il risveglio al mattino totalmente riposato. Il punto estremo di Stoja come punto finale al mio arrivo, ma… il viaggio non è finito. Il ritorno a Pola con l’autobus e la ripartenza per Parenzo. La seconda visita con Walter, le ciliegie, il bicchiere di vino e il racconto del viaggio.

Il ritorno ad Orsera, questa volta con l’automobile. Il rivedermi con Andrea. L’incontro con le sue amiche. Tutti assieme in colonna alla festa. Il teatro che appare all’improvviso nel bosco. Catapultato in uno spettacolo teatrale di un circo familiare. L’artista della fisarmonica. La sua bellezza, la sua forza, la sua musica. Le carovane. L’incredibile stile di vita di queste due donne con i figli. Il fuoco e la condivisione tra le persone. Lo spettacolo dei giochi di fuoco nella notte. L’allegria e la malinconia delle note delle fisarmoniche. La luna piena che filtra tra i rami. Il crepitio e il calore del fuoco. Bambini tranquilli e in festa. La chitarra che passa di mano. Il canto finale di Alana con la chitarra e tutti in silenzio, solo gli uccelli e le risate di qualche bambino. La sua voce che ferma il tempo e noi. Ivana e lo stare assieme attorno al fuoco. Il ritorno ad Orsera nello scherzare assieme. Attila!… I saluti…

Sono partito da solo e … nel primo viaggio ho conosciuto Fabrizio. Nel secondo viaggio ho conosciuto Andrea.

Chissà che non ci possa essere un collegamento. Chissà se i disegni del destino non vadano proprio in questa direzione. Chissà, Vedremo…

Una cosa è certa. Quando nella vita si vivono delle situazioni o incontriamo delle persone con le quali siamo felici e ci sentiamo a casa, sono una vena d’oro. Una vena d’oro per l’animo, che chiede solo una cosa… di seguirla. E se nella vita veniamo distratti da altre situazioni o persone…. riprendiamola con coraggio! La vena d’oro è sempre lì che ci aspetta!

In questo momento mi sale un’immagine …. nella notte, da lontano, ATTILA in cima alla collina. Raglia verso la luna piena. Anche il suo animo ha qualcosa dire !

P.S.

In un viaggio a piedi, lo scorrere delle sensazioni interne, dialogano con le varie voci della Natura, dipingendo un quadro. La regolarità dei nostri passi sono la sua cornice.

Ogni quadro ha le sue caratteristiche. Ma il più bello è il vostro quadro!

“Prendete le vostre scarpe, il vostro zaino. Partite e cominciate a disegnare il vostro quadro, ma soprattutto…. lasciate che si disegni da solo.”

Mauro Galli

galli@spin.it

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