Menu
Bicicletta / Itinerari / News / Parenzana

Un giorno di là

Trieste-Isola in bici inseguendo la libertà

Nei nostri viaggi lenti, oltre le frontiere e lungo la Via della Parenzana a volte ritroviamo amici e compagni di strada. Questa volta, lungo queste strade, incrociamo ancora Riccardo Zennaro (triestino che vive in Africa, dove si occupa di protezione ambientale in particolare del tema dell’acqua) impegnato in un piccolo viaggio insieme a suo padre, seguendo le sue origini e la libertà. Riccardo aveva già proposto un suo report sul viaggio Trieste-Parenzo qualche anno fa e che abbiamo pubblicato in due puntate, (1 e 2) oggi ha ceduto nuovamente al richiamo di queste terre e ci ripropone un classico passaggio di là – oltre il confine tra la città e l’Istria vicina:

 

Scendo verso il centro ancora silenzioso di Trieste per le sue strade scoscese. La bici pronta per un viaggio breve, a ripercorrere un pezzo di quella Parenzana vissuta e terminata tre anni prima. Tre anni come il tempo trascorso per ritrovare questa libertà lenta in bicicletta. Una libertà che si riacquista già dal primo chilometro, quando si chiude la porta di casa e si parte. Pedalo in solitaria lungo Via Mazzini e l’odore del mare arriva prepotente. Attorno a me, solo gabbiani e qualche passante dall’aria schiva. L’arrivo in Piazza dell’Unità con andatura da viaggiatore, come se dovessi orientarmi. Mi fermo al Caffè degli Specchi semideserto a quell’ora. E l’inizio di Agosto, e nonostante il borino, la giornata si preannuncia molto calda. Incontro un gruppo di ragazzi di Trento che con le loro biciclette ritrovano la via di casa dopo aver attraversato tutte le Alpi dal Trentino fino al Mare Adriatico. Li saluto e prendo un caffè nell’attesa dell’arrivo di mio padre. Partiamo, come tre anni fa, verso l’imbarco del Delfino Verde e della sua scorciatoia via mare per Muggia.

La partenza è sempre emozionante. Si accendono i motori della motonave e Trieste scompare in un attimo per lasciare spazio ad onde, guizzi e vento. Una meraviglia. Sulla sinistra si vedono il bagno alla Lanterna, il famoso Pedocin, con il suo muro a dividere i bagnanti donne dagli uomini da ormai più di cent’anni, e i tanti lego-container pronti per salpare verso il Bosforo con una delle navi all’ormeggio. Poi ancora il Molo Settimo con tutta la sua schiera di gru gialle che grattano il cielo, e infine, davanti a noi, Muggia.

A Muggia, come tre anni prima, la musica cambia. La cittadina tanto graziosa è invasa dalle macchine ed è giorno di mercato. Sembra che i muggesani tutti siano riuniti in piazza e per prendere un caffè e dell’acqua si fa una lunga fila. Siamo già geograficamente in Istria, e tutto ciò mi fa pensare alla posizione privilegiata di Trieste e delle sue persone. A cavallo tra due e più mondi, le loro famiglie vengono tutte da terre lontane, emigrate, arrivate, ripartite, o ritornate qui. Quanti di loro parlano più lingue e mangiano piatti di culture diverse? Eppure, tutta questa ricchezza sembra essere messa in discussione ora più che mai. Trieste, terra di confine, un confine aperto ma ora più che mai chiuso nella mente di molti che lo vogliono una barriera contro “l’altro”, questa figura vagamente identificabile e comunque colpevole di qualcosa. Cosa ti è successo, Trieste? Cosa è accaduto alle tue genti ricche di culture, di conoscenza, frutto dello scambio, del movimento, dell’apertura, della comprensione e della tolleranza? Me lo chiedo uscendo dalla cittadina e facendo i pochi chilometri verso l’abitato di Rabuiese. Ed ecco che il viaggio di oggi, sebbene sia cosi’ breve, prende di colpo senso. Non una semplice sgambata da fine settimana, ma una liberazione dai limiti invisibili di questa terra bellissima, ma mai come ora attanagliata da un velo di paura e chiusura. Un paradosso enorme per una terra di confine. E per riequilibrarsi, non c’è via migliore da ripercorrere. Quella della salute e dell’amicizia: la Parenzana.

I fantasmi se ne vanno dalla mia mente non appena vedo la prima scritta “Slovenia.” Eccola, l’Europa. E’ ancora lì a dirci che al di là delle parole, delle paure e del COVID, siamo ancora qui, tutti uniti. Un’improvvisa leggerezza mi fa cambiare umore d’istante e colgo subito dei particolari. Bellissime bocche di leone in fiore, mele estive che penzolano da un albero, e alberi da fico a perdita d’occhio. Si sale già, verso il valico sloveno e la prima vecchia stazione della Parenzana, quella di Dekani.

Fa già molto caldo quando ci avviciniamo alla tabella per una foto di rito. Che gioia e liberazione sconfinare. Soprattutto dopo mesi di isolamento e immobilità. In bicicletta, oltrepassare un confine senza dover render conto a nessuno: per me oggi la libertà è questa. Pochi metri avanti si apre un mondo nuovo. Il confine sloveno annuncia subito l’inizio dei Balcani. Profumo di granturco e pino marittimo, di fichi e di gasolio. Tre uomini grassi sono al lavoro per costruire una villetta, e c’è una Opel distrutta a bordo strada poco più in là. Scene e profumi da periferia di Podgorica o di Tirana. La linea tratteggiata del tracciato ci conduce dolcemente verso Skofije. Il buonumore si sente nel sangue e saluto caldamente qualsiasi passante incrociamo, in bici o a piedi. Una squadra di ciclisti professionisti scala la collina dall’altro versante, mentre noi scendiamo verso Koper/Capodistria e li salutiamo uno a uno: “Ciao”, “Buongiorno”, “Dober Dan”. La discesa è veloce e scollinato il ponte sopra l’autostrada, si costeggiano gli immensi vigneti di Vinakoper, tenuti d’occhio dall’omonima insegna.

Il tracciato è semplice e agevole in questo primo tratto di Parenzana. Non si lascia mai l’asfalto e girando fra rotonde, dopo qualche pezzo in condivisione con gli automobilisti nei pressi di Bertoki/Bertocchi si arriva alla periferia di Koper/Capodistria. Città natale di una delle mie nonne, Capodistria accoglie il viaggiatore forzandolo a passare per la sua zona piu’ commerciale. La Slovenia d’oggi sembra un po’ una succursale di Vienna viste tutte le aziende austriache, dai grandi “Diskont” alle banche presenti sul suo territorio con il loro inconfondibile stile mitteleuropeo moderno, lucido, pulito e trendy. Uno stacco deciso da alcuni edifici slavati risalenti all’ex-Jugoslavia, ancora presenti e irresistibili nella loro forma, colore e decadenza. Un altro chilometro e si entra finalmente in città vecchia, costeggiando il lungomare e al riparo dalle strade ad alto scorrimento. Una sosta all’ombra per rigenerarci e dopo aver respirato un po’ il mare da lontano, ripartiamo per l’ultima parte di questo breve viaggio: Izola/Isola. Lasciamo Capodistria cercando sempre la vicinanza con il mare. Dopo qualche zigzag in un parcheggio, si imbocca la via giusta in direzione Semedella, Zusterna, e poi Izola, costeggiando l’Adriatico su una pista ciclabile perfetta e rubata al traffico pochi anni fa per la gioia di pedoni e ciclisti. Questi chilometri sono pura musica. Il rumore del vento, del battistrada, delle onde, il profumo del mare a due passi, e il silenzio del viale ombreggiato qui e lì da qualche pino marittimo. Arrivare ad Izola è un vero piacere. L’orologio segna quasi le 14, l’ora più calda. Ci fermiamo a recupere energie e liquidi preziosi, complice una foratura che si risolve grazie al provvidenziale aiuto di Peter, tuttofare dell’unico negozio di bici aperto in un sabato d’agosto. Ripartiamo con più energia in direzione Trieste, ed è un vero peccato. L’anima della Parenzana ci chiama e non sapete quanto per un attimo ho sognato di girare il manubrio e proseguire verso altri orizzonti più lontani. Ma questo non accade e piano piano, dopo un tuffo ristoratore in acque limpide e fresche, risaliamo il litorale per ritornare verso l’Italia.

Il ritorno è storia del percorso inverso all’andata, con pochi dettagli da aggiungere, fuorché il caldo intenso risalendo la collina verso Skofije da Capodistria, e quel misto di felicità e malinconia a sedersi sul molo di Muggia in attesa di rientrare a Trieste via mare.

Un altro viaggio, sebbene breve giunge al termine, ma la Parenzana regala a tutti, anche a quelli che la percorrono solo per un giorno, conoscenza, leggerezza e tanta voglia che il viaggio continui. E per questo che oggi, più di ogni altro giorno, mi sento di dire non fermiamoci. Continuiamo e continuate ad esplorare, a cercare, ad incuriosirvi, a conoscere e a sconfinare. Ma se possibile fatelo piano, quasi sottovoce, umilmente, perché conoscere e comprendere l’altro, e assaporare il diverso ci salverà, e le emozioni di cui godremo ci renderanno liberi.

R.Z.

 

No Comments

    Leave a Reply