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Cherso – la bicicletta, l’azzurro e la luce

Un’imponente lama di roccia nel blu di Prussia del Quarnero. È questa la visione che si materializza all’alba quando scendiamo dal traghetto.

La più lunga delle isole quarnerine è una pietraia che imprigiona la luce, spazzata dalle correnti e dai venti. Poco più di tremila abitanti di cui duemilanovecento nella città principale.

Mauro, respira l’aria tagliente di bora a pieni polmoni ed è eccitato come un cane segugio quando segue la traccia. È la sua terra, qui custodisce una parte della sua storia. Salvo invece, si è caricato lo zaino come il milite che affronta la prima linea: è pronto al duello convinto di poter domare il gigante.

Affrontare l’isola di Cherso in bicicletta è come gustare una fetta di limone intinta nello zucchero: ti lascia in un’attimo la bocca contratta, ma poi il limone lo riaddenti, fino a finirlo tutto.

Qui non trovi la terra rossa come in Istria, qui la terra non c’è. Solo sassi, quelli aguzzi sotto le ruote e quelli delle “masiere” a lato delle strade. Ogni fazzoletto di poca terra è strappato alla roccia per coltivare gli ulivi e pascolare le pecore.

Lo sterrato è nervoso, la bici saltella sul sentiero e si inerpica come un mulo sulle mulattiere in salita. Ti aggrappi al manubrio come al salvagente in mare aperto e la ruota gira a vuoto prima di trovare l’appiglio. Poi ti volti, ti guardi indietro e vedi il blu, il mare, le isole intorno e il cuore rallenta il suo ritmo impazzito.

Laggiù il continente, la costa istriana di Albona e la punta di Capo Promontore, sotto lo scoglio di Levrera/Zeca e ancora più a sud la cime del Televrina, dopo la Cavanella di Ossero. Ti senti in paradiso quassù. Anche i gabbiani non si avventurano in cima, solo i grifoni volteggiano sopra questa landa lunare.

I profumi ora. Salvia, elicriso, rosmarino, ginepro e lauro, qualche roverella tra gli arbusti bassi e poi ancora pietra e ancora salite.

Le storie poi. Quelle di Marino a Smergo/Merag, oggi alle prese con la sua barca, rimessata dopo la lunga estate. A Cherso li conosce tutti, sono come una grande famiglia. Li chiama per nome e la sua mente li scorre come figurine nell’album della sua memoria. L’isola rimane ancora uno scoglio di sassi e fatica, molti se ne sono andati negli anni e pochi ci ritornano.

Quelle di Maria e Zeljko a Podol, rifugiati qui dalla città a godersi il silenzio di questa manciata di pietre e travi che raccontano di sacrifici e solitudine. Hanno vissuto a Cherso e una volta raggiunta la pensione, qui ritornano affittando una casetta in pietra, non molto diversa da come i loro genitori l’hanno pensata. Lei ha lasciato il paesino da adolescente, la scuola e il lavoro poi l’hanno divisa dalle sue origini. Oggi è tornata non più da sola: due cuori e una gentile capanna. Oppure Claudia e Robi, lei scrive e distilla gli aromi della terra: dolci alla salvia, sciroppo di menta e gelato ai fichi. Il suo paradiso è qui, le nuvole sopra di noi ora appaiono più vicine, forse le ha dipinte lei sopra la sua casetta di pietra grigia.

Non vorresti più lasciare questa magia ma hai paura di essere catturato dal vento d’autunno e l’inverno qui non lascia scampo. Solo cinque persone vivono ora nel paese. La bicicletta ti offre una leggera via di uscita per ricucire il tempo.

La bora ti sradica le ruote da terra e ti piega come un arbusto di ginepro, taglia il viso e ti entra nel corpo. Non fa freddo ma desideri un camino o un riparo dalla gelida inquisitrice.

La discesa tra gli arbusti, nei sentieri nascosti e ancora muretti di pietre a secco. Quali mani hanno eretto questa ciclopica tela di ragno? Quanta fatica e quale asprezza in questa terra lunare di soggiogante bellezza?

E tu qui, piccolo, a scorrere con lo sguardo il mare chiazzato di bianche pecorelle sotto lo sferzare del vento. Ti riaggiusti il casco e passi la lingua tra le labbra di salsedine a chilometri dalla riva. Il sole cerca di toccare l’orizzonte e la bora sembra riprendere forza.

Cherso non ama i ciclisti ma si lascia domare prendendoti il fiato. Ha bisogno di custodire un’altra anima del suo ospite per non sentirsi ancora abbandonata.

Olè, la notte scende veloce e non si sfidano i giganti al buio.

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